Lastra a Signa, curiosità

Cesare Beccaria
Dei delitti e delle pene - Interpretazione delle leggi


Quarta conseguenza.

Nemmeno l'autorità d'interpetrare le leggi penali può risedere presso i 
giudici criminali per la stessa ragione che non sono legislatori.

I giudici non hanno ricevuto le leggi 
dagli antichi nostri padri come una tradizione domestica ed un testamento che non lasciasse ai posteri che la cura d'ubbidire, ma le ricevono dalla vivente società, o dal sovrano rappresentatore di
essa, come legittimo depositario dell'attuale risultato della volontà di tutti; le ricevono non come obbligazioni d'un antico giuramento, nullo, perché legava volontà non esistenti, iniquo, perché riduceva gli uomini dallo stato di società allo stato di mandria, ma come effetti di un tacito o espresso giuramento, che le volontà riunite dei viventi sudditi hanno fatto al sovrano, come vincoli
necessari per frenare e reggere l'intestino fermento degl'interessi particolari.

Quest'è la fisica e reale 
autorità delle leggi.

Chi sarà dunque il legittimo interpetre della legge?

Il sovrano, cioè il depositario 
delle attuali volontà di tutti, o il giudice, il di cui ufficio è solo l'esaminare se il tal uomo abbia fatto o no un'azione contraria alle leggi?

In ogni delitto si deve fare dal giudice un sillogismo perfetto: la maggiore dev'essere la 
legge generale, la minore l'azione conforme o no alla legge, la conseguenza la libertà o la pena.

Quando il giudice sia costretto, o voglia fare anche soli due sillogismi, si apre la porta all'incertezza.

Non v'è cosa più pericolosa di quell'assioma comune che bisogna consultare lo spirito della 
legge.

Questo è un argine rotto al torrente delle opinioni.

Questa verità, che sembra un paradosso 
alle menti volgari, più percosse da un piccolo disordine presente che dalle funeste ma rimote conseguenze che nascono da un falso principio radicato in una nazione, mi sembra dimostrata.

Le 
nostre cognizioni e tutte le nostre idee hanno una reciproca connessione; quanto più sono complicate, tanto più numerose sono le strade che ad esse arrivano e partono.

Ciascun uomo ha il 
suo punto di vista, ciascun uomo in differenti tempi ne ha un diverso.

Lo spirito della legge sarebbe 
dunque il risultato di una buona o cattiva logica di un giudice, di una facile o malsana digestione, dipenderebbe dalla violenza delle sue passioni, dalla debolezza di chi soffre, dalle relazioni del giudice coll'offeso e da tutte quelle minime forze che cangiano le apparenze di ogni oggetto
nell'animo fluttuante dell'uomo.

Quindi vediamo la sorte di un cittadino cambiarsi spesse volte nel 
passaggio che fa a diversi tribunali, e le vite de' miserabili essere la vittima dei falsi raziocini o dell'attuale fermento degli umori d'un giudice, che prende per legittima interpetrazione il vago risultato di tutta quella confusa serie di nozioni che gli muove la mente.

Quindi veggiamo gli stessi 
delitti dallo stesso tribunale puniti diversamente in diversi tempi, per aver consultato non la costante e fissa voce della legge, ma l'errante instabilità delle interpetrazioni.

Un disordine che nasce dalla rigorosa osservanza della lettera di una legge penale non è da 
mettersi in confronto coi disordini che nascono dalla interpetrazione.

Un tal momentaneo 
inconveniente spinge a fare la facile e necessaria correzione alle parole della legge, che sono la cagione dell'incertezza, ma impedisce la fatale licenza di ragionare, da cui nascono le arbitrarie e venali controversie.

Quando un codice fisso di leggi, che si debbono osservare alla lettera, non
lascia al giudice altra incombenza che di esaminare le azioni de' cittadini, e giudicarle conformi o difformi alla legge scritta, quando la norma del giusto e dell'ingiusto, che deve dirigere le azioni sì del cittadino ignorante come del cittadino filosofo, non è un affare di controversia, ma di fatto, allora i sudditi non sono soggetti alle piccole tirannie di molti, tanto più crudeli quanto è minore la distanza fra chi soffre e chi fa soffrire, più fatali che quelle di un solo, perché il dispotismo di molti non è correggibile che dal dispotismo di un solo e la crudeltà di un dispotico è proporzionata non alla forza, ma agli ostacoli.

Così acquistano i cittadini quella sicurezza di loro stessi che è giusta
perché è lo scopo per cui gli uomini stanno in società, che è utile perché gli mette nel caso di esattamente calcolare gli inconvenienti di un misfatto.

Egli è vero altresì che acquisteranno uno 
spirito d'indipendenza, ma non già scuotitore delle leggi e ricalcitrante a' supremi magistrati, bensì a quelli che hanno osato chiamare col sacro nome di virtù la debolezza di cedere alle loro interessate o capricciose opinioni.

Questi principii spiaceranno a coloro che si sono fatto un diritto di
trasmettere agli inferiori i colpi della tirannia che hanno ricevuto dai superiori.

Dovrei tutto temere, 
se lo spirito di tirannia fosse componibile collo spirito di lettura.





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