Individuato il
“filare” di pietra con le caratteristiche necessarie per il tipo di
lavorazione previsto, si badava a staccarlo dalla parete praticando col
“ferro da mina” un foro nella pietra.
Man mano che si penetrava
nella pietra, si adoperava una “cucchiaia” per pulire dai detriti della
lavorazione, oltre a servirsi dell’acqua riempiendo la traccia….
Ci
si arrestava una ventina di centimetri dalla fine del blocco per fare
“tappo” all’esplosione e evitare che la carica “sfiatasse” per
insufficiente pressione.
In quel caso, sviluppando una potenza minore, non si sarebbe raggiunto lo scopo.
Si faceva poi il” calcatoio”, pressando la polvere nera, che acquistavamo dal Paoletti a Signa, o dal Francalanci a Lastra. In cima per questa operazione era obbligatorio usare un pezzo d’ottone per evitare scintille….
All’estremità una miccia, grossa come una corda, che bruciando lentamente lasciava tutto il tempo per mettersi al riparo.
La
“mina”in ogni modo si faceva una volta, oggi non è più consentito; il
distacco si fa con ferri, mazzolo e punciotti, e la lavorazione resta
quella del settecento.
Il blocco una volta staccato, si sposta
con la Binda, una leva a “vite senza fine”, per collocarlo in uno spazio
adatto per la lavorazione.
Si “spacca” poi secondo necessità
praticando dei buchi con ferro e mazzolo, e inserendoci i punciotti, che
agiscono da divaricatori.
Si lavora la pietra usando scalpelli
di varie misure, compassi, ecc. e servendosi di riferimenti come sagome
di cartone per ottenere il “pezzo” voluto.
I primi lavori che ho
realizzato sono stati gli scalini per le case degli operai Piaggio nel
1939, poi soglie per porte, tombini per le strade, ecc.
Dopo la guerra ho partecipato alla ricostruzione di Villa Bellosguardo, durata quattro anni.
Ho fatto lavori anche nelle Marche, in Molise, Emilia, Puglia, Lombardia ecc.
Nella zona lastrigiana, voglio ricordare il balcone della Misericordia di Lastra, le colonne nel giardino all’italiana di Villa Bellosguardo, e la” piramide” del monumento ai caduti a Ginestra.
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